mercoledì 8 dicembre 2010

Profughi eritrei, si muovono gli 007 egiziani

Home Page Avvenire > Interni > Profughi eritrei, si muovono gli 007 egiziani Interni 8 dicembre 2010 L'ODISSEA INFINITA L’Egitto si muove per la liberazione dei profughi eritrei in ostaggio in Sinai. I servizi di sicurezza egiziani stanno trattando con i capi tribù della regione al confine con Israele, per ottenere il rilascio delle centinaia di persone brutalizzate dai rapitori, che per la liberazione ora chiedono alle famiglie 8 mila dollari per ciascuno. A Roma, quasi due settimane dopo la prima denuncia del 25 novembre scorso su "Avvenire" (seguita, nei giorni successivi, da altri sette grandi titoli in prima pagina), parlamentari di diversi schieramenti premono sull’Unione europea perché promuova una evacuazione umanitaria e dia asilo ai profughi. Per l’Unhcr la situazione è anche frutto della politica italiana dei respingimenti. Ma il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi puntualizza: «La Farnesina si sta occupando della vicenda, come per ogni caso umanitario, attraverso i canali bilaterali e multilaterali nel rispetto della sovranità dell’Egitto. Ci siamo mossi anche su Bruxelles. Ma non è una questione che riguarda il governo italiano: usciamo da questo equivoco, non sono profughi dal nostro territorio. Non è il governo italiano – sottolinea – che può e deve risolvere la vicenda». A quanto riferisce l’Ansa, i servizi egiziani stanno trattando con le autorità tribali della zona. Insieme ai 250 eritrei ci sono circa altri 300 africani. Il gruppo degli eritrei sarebbe in mano ad un solo trafficante in una zona ancora non localizzata. Ma gli ostaggi in totale sarebbero circa 1.500 provenienti da Sudan, Etiopia, Guinea e Nigeria, detenuti nella zona attorno ad El Hassnah, al centro del Sinai, ma anche a sud di Rafah, pochi chilometri dal confine con Israele, meta cui puntavano i profughi in fuga dalla Libia, vista l’impossibilità di uno sbarco in Europa. Le fonti egiziane confermano che i migranti sono spesso usati dai sequestratori per l’espianto di organi. «I beduini sono armati fino ai denti», spiega don Mosé Zerai. Il sacerdote eritreo che sta tenendo i contatti con alcuni ostaggi ha partecipato alla conferenza al Senato organizzata dal presidente dell’Associazione "A buon diritto" Luigi Manconi, cui sono intervenuti tra gli altri per il Pd Livia Turco e Jean Leonard Touadì e i radicali Matteo Mecacci e Rita Bernardini, per Fli Benedetto Della Vedova e per l’Udc Paola Binetti e Savino Pezzotta. Proprio da Pezzotta, che è anche presidente del Cir, viene la proposta di un appello trasversale dei parlamentari all’Ue. «I rapitori – spiega don Zerai – invitano gli ostaggi a chiamare i familiari per il riscatto». Un giovane di 26 anni ieri gli raccontava di come la situazione stesse precipitando: «Hanno ricominciato a picchiarci – ha raccontato l’ostaggio – e siamo pieni di piaghe per le percosse. Tra di noi ci sono donne incinte e bambini piccoli. Non ci laviamo da un mese, viviamo nella spazzatura. Fate presto, fate qualcosa». Il direttore del Consiglio italiano dei rifugiati (Cir) Cristopher Hein spiega che «sono trafficanti di droga e di armi verso Gaza. Israele ora è una meta per i profughi. Le politiche europee di respingimento dell’immigrazione irregolare impediscono anche a loro di cercare scampo dalle guerre. Israele sta costruendo un muro di 110 chilometri sul confine con l’Egitto. I soldati hanno l’ordine impedire fisicamente il passaggio: eritrei e somali sono morti così». Per Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unchr), «l’Italia ha una corresponsabilità» nella vicenda: la politica dei respingimenti verso la Libia contro l’immigrazione irregolare iniziata a maggio 2009 «ha impedito di fatto la fruibilità del diritto di asilo, sancito dalla Costituzione e dalla Convenzione di Ginevra». Manconi cita i dati relativi alle domande del 2008: «A Lampedusa il 74% faceva domanda di asilo e oltre la metà veniva accolta dell’Italia». Don Zerai conferma: «Un centinaio tra gli ostaggi sono i profughi respinti dall’Italia. Fui io, a giugno 2009, a ricevere l’appello degli eritrei in mare. Lanciai l’allarme alle autorità italiane: aspettarono tre giorni in mare, poi una vedetta italiana li riportò in Libia». Racconta Mecacci, radicale del Pd: «All’epoca il sottosegretario Nitto Palma ci assicurò che tra gli 800 respinti nessuno aveva chiesto l’asilo».

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