lunedì 11 ottobre 2010

Torino: l’odissea dei rifugiati politici di “Casa Bianca”

di Viola Hajagos A Torino la storia dei rifugiati di "Casa Bianca" è lunga, il prossimo 29 ottobre festeggeranno il secondo anno di occupazione. Il nome che porta venne scelto sull'onda del segnale di cambiamento costituito dall'ascesa di Obama alla Presidenza degli USA. La loro storia è quella di centinaia di uomini e donne arrivate nel nord del mondo da Paesi come Eritrea, Etiopia, Costa d'Avorio, Sudan, Darfur e Somalia, dilaniati da diversi conflitti e dall'instabilità economica e politica, in cui pensare al futuro significa intraprendere la via della migrazione. Ma occorre fare un passo indietro: a Torino nell'autunno 2007 un gruppo di rifugiati in prevalenza del Corno d'Africa trovò una soluzione abitativa occupando una palazzina di proprietà del Comune in Via Bologna. A sostegno di questa lotta si formò il "Comitato in solidarietà con rifugiati e migranti", composto da diverse realtà (centri sociali come "Askatasuna" e "Gabrio", singole individualità, e "Emergency Torino") che in seguito dette il suo appoggio ad un gruppo di centoventi persone in maggioranza somali che il 12 ottobre 2008 occupò l'ex Casa di Cura Sanpaolo di Corso Peschiera. "Casa Bianca" nacque pochi giorni dopo, si tratta della palazzina adiacente che ospitava i parenti dei degenti della vecchia struttura sanitaria. Il momento dell'occupazione, oltre ad essere dettato dalla necessità, è una tappa del percorso di rivendicazione di diritti che i rifugiati iniziarono a portare nei confronti delle istituzioni cittadine che hanno dimostrato fino ad oggi un atteggiamento degno di Ponzio Pilato anche nei confronti delle convenzioni internazionali. Ad esempio, la Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 che elenca chiaramente quali siano i diritti dei rifugiati. Si tratta delle stesse parole d'ordine scandite nei diversi presidi, cortei e mobilitazioni: "Residenza, tessera sanitaria, lavoro". La vicenda della Clinica San Paolo era stata risolta, almeno secondo le parole del Sindaco Sergio Chiamparino e della giunta, dopo l'11 settembre 2009, giornata del trasferimento nell'ex caserma di Via Asti e a Settimo della maggioranza degli occupanti ad eccezione di Casa Bianca che prese la decisione di non accettare una soluzione considerata insufficiente e precaria in quanto temporanea e non risolutiva delle rivendicazioni sui diritti fondamentali. Soltanto per i rifugiati inseriti nei progetti di Settimo (rivolti alle persone in situazioni precarie di salute o alle donne con figli e alle famiglie) la situazione è cambiata, per tutti gli altri non ci sono state svolte o miglioramenti. Molti hanno intrapreso un nuovo percorso di migrazione verso l'Europa del Nord o il Sud Italia e alcuni dormono per le strade della città. L'ultima tappa della vicenda si svolge in pieno clima vacanziero: il 9 agosto ha chiuso la caserma di Via Asti alla presenza di nessun delegato della giunta e di uno schieramento di forze dell'ordine e di un bus GTT. A seguito di trattative gli ultimi 20 ospiti sono stati portati davanti alla palazzina murata di Corso Chieri 19. Corso Chieri si è trasformata nella terza casa occupata dai rifugiati che continuano a chiedere diritti per poter ricostruire una vita dignitosa, le istituzioni hanno risposto con le richieste di sgombero. Un'odissea che prosegue e che è importante non dimenticare.

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