mercoledì 24 febbraio 2010

Sacerdote eritreo: porto nel cuore la gente lucana ma torno nel mio paese

di ROSA ALBIS MELFI - Sarà ricordato come il sacerdote dell’ascolto e del dialogo, colui che non disdegnava di utilizzare radio e internet per parlare alla gente o un microfono nella villa comunale di Melfi per avvicinare i più giovani. Colui che, ancora a letto dopo un intervento chirurgico, ha accolto con pazienza i tantissimi fedeli andati a fargli visita in ospedale, alcuni dei quali desiderosi di essere confessati. È partito alla volta della sua terra d’origine per lavorare in una parrocchia africana e preparare i novizi alla vita sacerdotale, padre Haile Tesfamariam, vincenziano eritreo particolarmente amato dalle comunità del Vulture-Melfese. La gente ha accolto con molto rammarico la notizia della partenza del sacerdote e ha cercato in tutti i modi di dissuaderlo. «So che sono in molti a piangere per il mio allontanamento – dice padre Haile - e anche a me dispiace andare via. A Melfi mi sono trovato molto bene, ma come vincenziano ho sposato i voti della castità, della povertà e della obbedienza, per cui devo andare dove c’è bisogno di me». Ovvero in Eritrea, dove carestie e siccità stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza della popolazione. «E’ vero che lì la gente è molto povera, ma solo da un punto di vista materiale – afferma il sacerdote – mentre conserva una grande ricchezza di fede. Spero che l’Italia, e in particolare la città di Melfi, sappiano mostrare la loro generosità inviando degli aiuti in un Paese allo stremo». Padre Haile nel 2003 ebbe un bruttissimo incidente stradale, cadendo in una scarpata alta 100 metri. Ne venne fuori quasi illeso. Come si dice in questi casi, fu «miracolato». E sono tanti i piccoli miracoli compiuti dal sacerdote africano durante la sua permanenza a Melfi, come la capacità di riappacificare in più occasioni coniugi che avessero litigato, di incoraggiare i depressi, di impartire lezioni speciali sul rispetto tra le persone e il diritto alla vita. Padre Haile, classe 1966, ha tenuto a cuore soprattutto i giovani. «Sono arrivato a Melfi, per la prima volta, nell’estate del 2006. Ricordo che ero molto ansioso di mettermi subito in attività, di incontrare gente, di parlare ai giovani in modo diretto e semplice, magari usando anche dei disegni». Per descrivere il sentimento provato prima della partenza, disegna su un foglio bianco un grande cuore. «Porterò nel mio cuore tutta la gente che ho incontrato qui e nei paesi limitrofi. Ho conosciuto tante persone credenti molto affezionate e accoglienti – conclude - delle quali manterrò un ricordo indimenticabile e che continuerò a sentire vicine a me nella preghiera».

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