mercoledì 10 febbraio 2010

Quando Bologna offre asilo ai rifugiati

Nel 2009 sono stati almeno settecento gli arrivi in città: soprattutto uomini dai 18 ai 40 anni, dopo viaggi disperati. Eritrei, pachistani, iraniani e afgani: così chiede aiuto il popolo dei perseguitati di Antonella Cardone Scappano dalle bombe delle guerre civili, dalle persecuzioni dei regimi dittatoriali, dai campi profughi dove sopravvivere è una scommessa col destino, dalla paura degli attentati terroristici che quotidianamente insanguinano le loro città. Arrivano a Bologna soprattutto da Eritrea, Pakistan, Ex Jugoslavia, Iran, Afghanistan, Congo: sono i rifugiati politici e i richiedenti asilo presenti in città. I numeri ufficiali contano circa 400 presenze, ma nelle stime degli operatori i "passaggi" di chi non trova posto nelle strutture di accoglienza pur avendone diritto e si nasconde nella clandestinità, sarebbero stati nel 2009 almeno di 700 persone, il 25% in più rispetto all'anno prima. Sono soprattutto gli uomini - tre quarti del totale - e i giovani dai 18 ai 40 anni a scegliere le Due Torri come meta finale dei loro lunghissimi viaggi della speranza. Arrivano qui nei modi più fortuiti, molti sbarcano dai gommoni nelle isole del Sud Italia e dai centri di prima accoglienza vengono «distribuiti» nelle diverse città con in mano permessi di soggiorno per motivi umanitari che danno diritto all'accoglienza più strutturata. Quaranta, complessivamente, i posti totali finanziati dallo Stato per le strutture di accoglienza del Comune di Bologna. La discrasia tra domanda e offerta è evidente: contrariamente ad alcuni anni fa - quando, bene o male, si riusciva ad offrire una risposta a tutti - oggi sono sempre più numerosi i rifugiati costretti a dormire per strada e privi di ogni sostegno. Lo denunciano le associazioni che come la Caritas o la Ya Basta offrono consulenza e orientamento a queste persone. La situazione, al di là delle cifre, viene descritta dagli operatori come allarmante e sempre più difficile da gestire in mancanza di altre risposte adeguate e strutturate. La burocrazia è il primo problema per il quale i rifugiati chiedono aiuto. Cosa fare dopo che è arrivato un diniego della domanda di riconoscimento dello status; come velocizzare i percorsi di riconoscimento (alcuni fermi nel limbo da anni), come far avere accoglienza ai familiari rimasti in patria. Poi, i problemi economici. Sulla carta, a ogni rifugiato oltre a un tetto sulla testa andrebbe garantito un sostegno finanziario e un progetto di inserimento lavorativo. Ma la coperta è troppo corta: alle associazioni si chiede dunque aiuto nella ricerca del lavoro e di un alloggio. Più efficiente è l'accoglienza, valuta il monitoraggio della Regione, per quel che riguarda i minorenni che arrivano in città senza genitorio parenti.A Bologna è la Comunità «Il Ponte» a gestire diversi centri di prima o seconda accoglienza per minori non accompagnati: nel 2008 ne sono stati ospitati 21, di cui la maggior parte (13) afgani e gli altri iracheni (4) o eritrei (2). Anche un somalo ed un nigeriano sono stati ospitati nel 2008. I ragazzi ospiti delle strutture frequentano tutti un corso di italiano, hanno accesso alla formazione scolastica e lavorativa e, secondo gli operatori, riescono nel tempo ad inserirsi sul territorio positivamente.

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