venerdì 12 giugno 2009

il libro. “Italiani, brava gente?” di Angelo Del Boca

(Giuseppe Licandro - LucidaMente, maggio 2009) Angelo Del Boca (Novara, 1925), storico e narratore, può essere considerato il maggiore studioso del colonialismo italiano. Tra le sue opere più importanti ricordiamo Gli italiani in Africa Orientale e in Libia (Laterza) e La nostra Africa (Neri Pozza editore). Del Boca è stato uno tra i primi storici a parlare delle atrocità compiute in Eritrea, Etiopia, Libia e Somalia dai militari italiani, i quali fecero largo uso di armi chimiche e allestirono disumani campi di concentramento, assumendo comportamenti fortemente razzisti nei confronti della popolazione locale. Il suo lungo saggio Italiani, brava gente? Un mito duro a morire (Neri Pozza editore, pp. 336, € 12,00), pubblicato nel 2005, è stato recentemente ristampato dalla casa editrice vicentina. Ne consigliamo la lettura, molto istruttiva, che serve a sfatare una leggenda tuttora persistente nell’immaginario collettivo popolare: la presunta bontà degli italiani. Imbarazzanti pagine di storia – Ripercorrendo le vicende del Belpaese dai primi decenni postunitari fino agli avvenimenti più recenti, Italiani, brava gente? prende in esame «alcuni episodi, particolarmente efferati, accaduti in Italia, in alcuni paesi europei occupati dalle forze dell’Asse e nelle colonie italiane d’oltremare». Del Boca descrive talune fra le pagine più imbarazzanti, e perciò spesso sottaciute, della storia d’Italia, utilizzando fonti assolutamente attendibili, tra cui i documenti ufficiali redatti dalle autorità militari e politiche che attestano quanto accaduto. Tra i misfatti più gravi vengono menzionati in particolare: i massacri perpetrati dall’esercito “piemontese” contro le popolazioni meridionali negli anni del brigantaggio (tra cui le stragi di Casalduni e Pontelandolfo, due paesi del Beneventano); la repressione messa in atto contro abissini ed eritrei durante l’avventura coloniale del 1885-1896, nel corso della quale fu aperto un greve penitenziario per i prigionieri politici nell’isola di Nocra (rimasto in funzione fino al 1941); le violenze commesse agli inizi del Novecento dal contingente italiano che fece parte della coalizione internazionale di truppe inviate in Cina per reprimere la rivolta dei boxers; lo schiavismo praticato dai coloni italiani in Somalia; la deportazione nei campi di concentramento della Sirtica di circa centomila libici della Cirenaica, che avvenne nei primi anni Trenta e fu diretta dal generale Rodolfo Graziani; l’invasione dell’Etiopia nel 1935, che venne realizzata anche grazie all’uso di gas asfissianti (iprite e fosgene) e fu contrassegnata da tremendi eccidi, come quello di duemila monaci e diaconi del convento di Debrà Libanòs; la “bonifica etnica” che il fascismo tentò di attuare nella Venezia Giulia contro sloveni e croati; le stragi compiute – soprattutto dai militi della Repubblica sociale italiana, ma anche da parte di qualche gruppo partigiano – durante la guerra civile seguita all’8 settembre 1943. La parte finale del volume è dedicata all’Italia repubblicana e contiene una serie di riflessioni sugli eventi che ne hanno reso instabile la vita politica e sociale, a partire dalla repressione delle proteste contadine degli anni Quaranta dello scorso secolo fino all’avvento del “berlusconismo”. Del Boca rievoca anche i vari tentativi di golpe, la strategia della tensione, gli “anni di piombo” e Tangentopoli, descrivendo la parabola discendente intrapresa dal sistema partitico della Prima repubblica, che è sfociata, infine, in un nuovo assetto del quadro politico. La leggendaria “bontà italiana” – Il mito della “bontà italiana” nacque nel secondo Ottocento, all’interno degli ambienti politico-militari impegnati dapprima nella costruzione dello stato unitario e in seguito nell’espansione coloniale, trovando i suoi divulgatori in letterati di successo come Edmondo De Amicis ed Emilio Salgari. L’immagine edulcorata degli italiani, rimossa in parte durante il fascismo (che invece privilegiò l’ideale del conquistatore intrepido e implacabile), fu riproposta dopo la Seconda guerra mondiale, anche per differenziare il comportamento mantenuto dai soldati nostrani rispetto a quelli tedeschi durante le operazioni belliche. Il luogo comune sulla proverbiale pacatezza delle nostre truppe è stato alimentato, oltre che dalla stampa, persino da talune opere cinematografiche, alcune delle quali d’indubbia qualità: ci riferiamo, ad esempio, a vecchi film come I due nemici di Guy Hamilton o Italiani brava gente di Giuseppe De Santis e al più recente Mediterraneo di Gabriele Salvatores. Questo mito, a giudizio di Del Boca, «appare in realtà, all’esame dei fatti, un artificio fragile, ipocrita» e non possiede «alcun diritto di cittadinanza, alcun fondamento storico». È vero, infatti, che «gli italiani, in talune circostanze, si sono comportati nella maniera più brutale, esattamente come altri popoli in analoghe situazioni». Ecco perché gli artefici delle efferatezze descritte nel libro «non hanno diritto ad alcuna clemenza, tantomeno all’assoluzione». Giudizi imparziali – L’obiettività dei giudizi formulati da Del Boca è testimoniata dal fatto che egli, pur essendo stato partigiano, non sottace le violenze ingiustificate compiute da talune formazioni appartenenti alla Resistenza («tra la fine del 1945 e l’estate del 1946, soprattutto in Emilia-Romagna e, in modo particolare, nel “triangolo della morte”»), né dimentica la vicenda delle Foibe, le cavità naturali in cui oltre un migliaio di cittadini italiani residenti in Istria e in Dalmazia furono uccisi dall’Armata popolare di liberazione della Jugoslavia guidata dal maresciallo Tito. Lo studioso novarese, comunque, inserisce correttamente questi tristi avvenimenti all’interno del contesto storico in cui accaddero, delineando gli aspetti salienti della guerra civile che contrappose i fascisti agli antifascisti e tracciando il quadro complessivo dei conflitti etnici esplosi nella Venezia Giulia. Senza dimenticare, pertanto, né i campi di concentramento (Arbe, Gonars, Monigo, ecc.) creati dal governo fascista per annientare la resistenza di croati e sloveni, né gli eccidi compiuti dalle truppe nazifasciste tra il 1943 e il 1945 (a Bardine di San Terenzio, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Vallucciole, ecc.). «Fare gli italiani» – Del Boca si sofferma a esaminare un altro tema particolarmente caro all’intellighencija nostrana: la necessità, già espressa a suo tempo da Massimo D’Azeglio, di «fare gli italiani», cioè di dar corpo a una identità nazionale ben definita, forgiando il carattere dei cittadini. Se la classe dirigente liberale tentò, con metodi spesso inadeguati e risultati deludenti, di sviluppare nella popolazione «il civismo e la coscienza morale», con l’avvento del fascismo si volle creare un «uomo nuovo», ovvero «un soldato nuovo, più tenace, più aggressivo, persino più crudele». Gli esiti disastrosi della Seconda guerra mondiale minarono la credibilità di questo modello antropologico, lasciando spazio ad altre schematizzazioni, quali il “buon padre di famiglia” della tradizione cattolica e “l’operaio” della cultura social-comunista. Agli inizi del Nuovo millennio, una diversa tipologia d’italiano («un grande lavoratore e produttore, ma anche [...] un instancabile consumatore di beni») sembra aver preso il posto degli stereotipi precedenti. Questo nuovo tipo di cittadino appare il «chiaro prodotto del consumismo, dell’ignoranza e dell’egoismo», a cui Del Boca contrappone «l’esercito dei quattro milioni di volontari, che ogni giorno, in silenzio, quasi in segreto, scende nelle strade dell’Italia e del mondo per combattere la sofferenza nei suoi mille aspetti». Sono questi gli italiani che, a suo avviso, possono veramente fregiarsi dell’epiteto di «brava gente». Il “leone del deserto” – Nel libro di Del Boca si menziona anche la storia di Omar al-Mukhtàr, l’anziano capo dei guerriglieri senussiti che in Libia tenne testa alle truppe italiane dal 1923 al 1931, finché non fu catturato dal generale Graziani e, dopo un processo sommario, impiccato. La strenua resistenza delle milizie libiche, che portò alla luce le debolezze militari dell’esercito italiano insieme alle sue crudeltà, è stata completamente rimossa dalla memoria storica del nostro paese, al punto che il film Lion of the Desert (1980), dedicato ad al-Mukhtàr e diretto dal regista siro-statunitense Moustapha Akkad, venne addirittura censurato nel 1982 dal governo italiano, il quale ne vietò l’uscita nelle sale cinematografiche con una motivazione del tutto pretestuosa: «lesivo dell’onore dell’esercito». Le ragioni di tale ostracismo dipendono, come ha giustamente scritto Angela Luisa Garofalo nell’articolo Lion of the Desert: il caso di una rimozione storica (Rnotes, n. 20, 2005), «dalla volontà di rimuovere ed occultare tracce che ricordano un’esperienza storica – quella del Fascismo e degli atti compiuti durante il regime – fallimentare ed infamante per l’immagine del nostro paese». Ricordiamo che ancora adesso (incredibilmente!) questa pellicola è irreperibile all’interno dei normali circuiti di distribuzione del cinema italiano. Giuseppe Licandro (LucidaMente, anno IV, n. 42, giugno 2009)

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